martedì 17 ottobre 2006

DECALOGO DEL SASSARESE AL MARE


DECALOGO DEL SASSARESE AL MARE
(nella foto: il mitico Lido Iride nel 1970)

1) Il vero sassarese non va al mare, ma "fara a Platamona" che non è la semplice spiaggia dei sassaresi, ma un vero e proprio microcosmo, un concetto filosofico, un alto ideale,uno stile di vita esclusivo che solo un sassarese doc si può permettere.

2) Se maggiorenne e dotato di mezzo proprio il sassarese percorre la strada statale Buddi Buddi per raggiungere la sua località balneare preferita. La scelta cade su questo percorso poiché un sassarese che si rispetti fa tappa al bar Graziella, dove, dopo aver parcheggiato sgommando, entra gioioso e schiamazzante e chiede una bottiglia di birra e tre bicchieri (anche se è da solo, ma dire "un'impulla di birra e tre tazzi mascì" fa più ommu).

3) Il sassarese minorenne non dotato di mezzo proprio si reca a Platamona con il mezzo di trasporto per eccellenza "l'EMMEPI'" nelle due varianti "via Buddi Buddi" e "via Ottava". La scelta dell'una o dell'altra opzione è del tutto indifferente per il minorenne, perché l'importante è trovare posto dietro "pa' fà barracca". Essenziale un coro tipo "zi poni la faccia in cu', lu controllò lu controllò" all'ingresso del controllore sul mezzo.

4) Un sassarese "come si tocca" (epiteto dato a persona che si rispetti) va al mare con costume slip aderente, zocculi e maglia della Torres.
Il perché di questi tre capi d'abbigliamento è spiegato di seguito:
a) Gli slip: intanto i boxer è "robba di frosci", e poi lo slip permette al sassarese di mostrare, tutto tronfio e pieno di se, la propria attrezzatura sessuale (spesso sovradimensionata da una melanzana di dimensioni medie apposta all'interno degli slip stessi). Lo slip, accuratamente rinforzato, permette inoltre di sostare nel bagnasciuga della spiaggia (meglio se "lu terzo".terzo pettine per i blasfemi) per mostrare alle gentili donzelle che passeggiano la propria virilità, accompagnando l'esposizione artistica con frasi del tipo "Ebbbé mascì, ma robba così mai visto ne hai?" o con l'intramontabile "Meee mascì, abaidda ogna pizzona dell'anglona", seguito da un sonoro verso del maiale.
b) Li zoccuri (zoccoli per i profani): intanto le infradito è "robba di frosci". Questo pittoresco quanto elegantissimo capo d'abbigliamento consente al vero sassarese di espletare due funzioni fondamentali: innanzitutto il passo con trascinamento del piede risulta molto rumoroso e cadenzato nel modo giusto può ricordare il rullare dei tamburi dei candelieri. In secondo luogo, se inserito in una mano e non nel piede lu zoccuru può diventare l'arma vincente in un sano "affarratorio" con qualcuno che sta guardando male.
c) Maglia della Torres: intanto chi non tifa Torres è "un bé frosciu". Qui c'è poco da commentare, la maglia della Torres è la seconda pelle di qualsiasi sassarese che si rispetti.

5) Almeno ¾ del tempo che un vero sassarese dedica alla sua gita al mare, vanno trascorsi a "lu chiosco" (per i trogloditi non sassaresi si legge ghiosco), in modo tale da potersi dedicare all'attività nella quale ciascun sassarese che si consideri tale deve eccellere: bere birra. L'attività madre deve essere svolta possibilmente in chiassosa compagnia e comporta l'ingurgitamento di un minimo di 12 litri di birra a ora di permanenza a "lu chiosco". Vietato rigorosamente sedersi; il sassarese puro beve in piedi vicino al bancone (con gomito appoggiato e piedi incrociati) e appoggia il bicchiere solo se per trastullarsi le parti intime in caso di eccessiva "magnazzona" (prurito per gli stranieri). Inutile dirlo perché ovvio: sempre e comunque rutto libero!!!

6) Il pranzo in pineta non è la semplice soddisfazione di un bisogno primario (l'alimentazione), ma è un'istituzione sacra, una filosofia di vita, un percorso mistico trascendentale che in certi casi può portare al raggiungimento del nirvana. Non esiste che un sassarese si porti il panino da casa o compri un tramezzino a lu ghiosco (tutta robba di frosci); il pranzo in pineta deve essere consumato in compagnia numerosissima e deve prevedere come minimo una decina di portate: dallo zimino alla cordula, dalle favette alle lumachine, dai coccoi alla carne di cavallo, giggioni e così via. E' essenziale che il pasto venga accompagnato da fiumi di vino rosso (rigorosmante in boccione) e si concluda con un assaggio di acquavite o mirto rosso possibilmente fatto in casa, ma un Zedda Piras (santi subito!!!) va bene uguale.
Per il dopo pranzo al sassarese doc si presentano diverse opzioni ludico-culturali tra cui segnaliamo:
a) Una bella cantata in compagnia, rigorosamente cun la chiltherra (con aggiunta di mandurinu per i puristi) spaziando tra i pezzi storici di Ginetto Ruzzetta e Giovannino Giordo ai più commerciali e psichedelici Sonos de Manos, il cui pezzo storico "la notti" ha di gran lunga surclassato la ormai obsoleta Canzone del sole.
b) Il mangiare può provocare in alcuni degli scombussolamenti intestinali tali da richiedere un'immediata evacuazione. Il sassarese doc, da gran signore, segnala ai presenti la sua impellente necessità fisiologica innanzitutto "truddiendi cumenti un cani" (petando come un essere vivente di razza canina..sempre per i profani) e rivolgendosi ai commensali con francesismi e frasi culturalmente elevate quali: "Teee fiaggadiru abà" oppure "Teeee coloraru". Dopo il gustosissimo siparietto un vero sassarese si alza dalla sedia (dopo tre ore di pranzo) e dichiara ad alta voce "Bè, guasi guasi andu a fammi una bedda caggadda" e tra gli applausi commossi della gente si avvia con passo svelto verso i pini interni che gli consentono di dedicarsi alla tanto agognata defecatio.
c) I più colti e cosmopoliti dei sassaresi si dedicano invece allo scambio interculturale. Già dal primo pomeriggio è infatti possibile scambiare opinioni sulla geopolitica internazionale o sulle conseguenze delle esternalità negative causate da un eccessivo ridimensionamento delle politiche sociali, con delle simpaticissime signorine nigeriane che sostano nelle strade adiacenti ai pettini.
d) E'concessa la pennichella post-pranzo da consumarsi all'ombra di un pino, evitando accuratamente di posizionarsi su quelli un po' più interni per non incorrere in spiacevoli discussioni con i sassaresi che si stanno dedicando all'attività descritta nel punto b).

7) Il telo da mare è un accessorio del tutto opzionale. In passato, il dibattito tra puristi e modernisti sull'utilità dell'oggetto in questione è stato anche molto aspro. Da un lato c'era chi sosteneva l'inutilità di un simile pezzo di stoffa e dall'altro chi invece spingeva per il suo utilizzo; l'avvento del bidet nelle case ha comunque spostato l'attenzione dell'intellighentia sassarese sulla possibilità o meno di utilizzare il sanitario in questione per piantare predusimuru (prezzemolo per gli ignoranti). Alla fine chi proprio non può farne a meno può utilizzare l'asciugamano, purché sia ben visibile la scritta Birra Ichnusa su un lato e Bionda Sardegna sull'altro.

8) Durante la permanenza in spiaggia un vero sassarese non può a fare a meno di costruire di suo pugno e ovviamente con il talento ingegneristico che lo contraddistingue un "tramporinu" (trampolino per i blasfemi) adatto per l'attività fisica nota come "Tuffà". Utilizzando vario materiale che la spiaggia di Platamona mette generosamente a disposizione il sassarese doc costruisce così lu tramporinu e si mette ordinatamente in fila per poter usufruire del medesimo. Correndo il più veloce possibile e con urlo sovraumano il degno sassarese si avvicina a lu tramporinu posizionato nel bagnasciuga, poggia un piede sulla pedana e spicca un atletico balzo che lo porta ad immergersi in acqua a "cabuzzoni" o nel più classico tuffo a "bbbomba".

9) e 10)
l'Autore ci ha comunicato che "si è rotto le balle di scrivere" al punto 8. (ipse dixit ....)


9 commenti:

Minciacùru ha detto...

E beh ???
Tutti li commenti non vi so più ???
Una proposta per il punto NOVE del Decalogo:

9) Il Sassarese al mare negli anni '70 non portava un semplice ombrellone ma procedeva a fabbricare "la casetta" con il tipico telo di materesso vecchio a strisce verticali fissato in alto e rincalzato in basso con la sabbia a creare un ambiente ermetico e riservato.
All'interno della "casetta" tipicamente era custodito il frugale pasto da consumare in spiaggia (ilpranzo in pineta era più propriamente cosa da "Mezz'aushtu":
Un boccione di minestrone di "fagiolu tondu";
Una pentola di ciccioni al sugo (meglio se ghisadu) ben legata con un cannabazzu fermato in cima da un vistoso fiocco;
Due o tre chili di fettine impanate;
Ventiquattro uova sode;
Due saffate di "melenzane" (melanzane a Sassari non si usa ...) alla parmigiana;
Due chili di "pane grosso";
Un bidoncino da cinque di vino "di proprietà".
Un termos di caffè;
E verso le 12.30 13.00 non partiva il pranzo ma un vero e proprio film di guerra.

Anonimo ha detto...

Ttroppu raggioni v'hai Cabbu di bò ...
Un bedda padedda di giogga (minudda, grossa, coccoi da pienu) non mancava mai ....
E puru dui cassaddini per finire !!

Anonimo ha detto...

Abà a bisu doiu, una famiglia sassaresa a veru anda a Platamona e non s'arrega mancu una bedda SINDRIA da 8-10 chili da punì in eba a rinfriscà ????

Anonimo ha detto...

Da non dimenticare la "tavolata" organizzata in spiaggia: ombrellone extra-large con telo verde o a righe "pugna a occi" fissato intorno, da dentro l'ombrellone parte una serie di cavalletti con delle tavole sopra.
Lunghezza omologata: dai 5 ai 10 metri di tavolata.
Il posto a capotavola dentro l'ombrellone assgnato rigorosamente alla vecchietta vestita di nero, fornita nelle due versioni: rincartapecorita oppure ai limiti dell'obesità.

Anonimo ha detto...

SASSARI SUL MARE: PLATAMONA

«Ohi Pratamona cara, cara…»: così inizia una poesia di un contemporaneo vivente, un cero Tzizzu Pira, sassarese d’adozione e conosciuto soprattutto come venditore della gustosa fainè; e fratello di Valentino, ancora più noto per la bravura nel preparare questa focaccia di farina di ceci.
Ho citato questo particolare perché in questa composizione Tzizzu parla con rimpianto e nostalgia di questa località balneare. Ed io dico: se ne parla così un non sassarese, cosa dovremmo dire noi, nati e cresciuti nella città, su questo argomento?
Dal canto mio posso dire tante cose, perché molte giornate della mia fanciullezza le ho trascorse su quella spiaggia, allora ancora solitaria e a tratti selvaggia; ma molto potrebbero dire i miei nonni, che certo facevano qualche sacrificio più di noi per raggiungere quel tratto di costa, che allora era conosciuto col nome di Abbacurrenti, ossia “Acqua Corrente”, perché nei pressi di una torre spagnola che sta su un lato sfocia un fiumicello.
Prima che arrivasse il tempo dell’automobile, adesso accessibile a tutti, i nostri nonni, e anche i nostri genitori, si servivano di carri a buoi o di tumbarelle (barocci) trainati da un cavallo: caricate le provviste, fatti salire i familiari ed eventualmente qualche amico, partivano sin dalla notte del sabato per essere già all’alba sulla spiaggia, dove trascorrevano una giornata in allegria, con relative abbondanti bisbocce, all’ombra di lenzuola fissate alle stanghe dei carri.
È stato nel dopoguerra che la frequenza della spiaggia si è fatta più intensa: con lo sviluppo della motorizzazione automobili, autobus e motorette hanno iniziato a riversare un numero sempre crescente di sassaresi su quel litorale, che era ormai conosciuto col nome che si usa ancora oggi, Platamona.
Di questo tratto di costa il comune di Sassari ne possiede in realtà un tratto piuttosto breve, che va dalla torre spagnola alla grande Rotonda asfaltata che si affaccia sul mare. Ma il sindaco Oreste Pieroni riuscì negli anni Cinquanta a farne una frequentatissima succursale balneare della città. Molto attivo e “decisionista”, è ricordato per aver rallegrato la vista dei suoi concittadini con giardini e fiori sparsi in tutta la città; e, soprattutto, perché riuscì a far asfaltare in soli due mesi il tratto di strada di circa sei chilometri che da Ottava, lungo la strada per Porto Torres, era necessario per arrivare comodamente alla spiaggia; nel tratto finale il percorso diventava un bellissimo viale degli Oleandri che si concludeva nella Rotonda, ornata lungo i bordi da grandi vasi (Jorre), nei quali crescevano ancora tanti fiori.
In un boschetto impiantato dietro la Rotonda fece costruire una serie di villette per i funzionari del Banco di Sardegna o, più precisamente, dell’ICAS, come si chiamava allora, Istituto di Credito Agrario Sardo, del quale era direttore generale; case che si possono vedere ancora oggi, anche se in più di un caso sono passate ad altri proprietari. Tale fu il ruolo di questo sindaco che qualcuno denominò la zona:” Pieronia”.
In breve questa spiaggia conobbe un vero e proprio boom e iniziò a vantare un’affluenza di frequentatori che faceva invidia ad altre famosissime spiagge del continente. A più breve distanza ne risentirono la concorrenza, località di mare come la Marinella e Lo Scoglio Lungo, entrambe a Porto Torres, che avevano goduto in precedenza del collegamento ferroviario col capoluogo: in estate quel treno, lu trenu di Porthutorra, era sempre stato affollato di bagnanti.
Ma Pieroni aveva visto giusto quando aveva preso la decisione di dare ai sassaresi una loro spiaggia. Così per molti, dalla mia generazione in poi, la scoperta di quel mare e le giornate trascorse su quella spiaggia rimangono parti importanti dei ricordi dell’infanzia e della giovinezza.
C’era ad esempio un gioco che divertiva moltissimo i bambini, un gioco che era stato ideato spontaneamente, utilizzando le risorse offerte dall’ambiente: era il bagno con relativi tuffi e rincorse fuori dall’acqua, per raggiungere la cima di dune immense che sembravano montagne e quindi rotolarsi bagnati fino a “valle”; e successivamente, “impanati” di sabbia come una fettina alla milanese pronta alla padella, rigettarsi in acqua; e così via, un’infinità di volte, fino a quando, stremati, stralunati e affamati, raggiungevano i rispettivi ombrelloni per approvvigionarsi di panini imbottiti… chi li aveva!
Grande fu dunque, dicevamo, il successo che questa spiaggia conobbe subito dopo la valorizzazione promossa da Pieroni, vale a dire negli anni Cinquanta e Sessanta: un periodo fiorentissimo anche per le attività commerciali e del tempo libero che vi si erano insediate.
Vi operavano tre complessi balneari.
C’era il Lido Mura, a sinistra rispetto alla Rotonda, dotato di tutti i servizi. Disponeva anche di una pista da ballo con arena per spettacoli, un ristorante con snack-bar ed un adeguato servizio di spiaggia con relative cabine in legno; inoltre funzionò per un bel po’ di tempo un night club, un azzardo per quei tempi, il massimo del divertimento notturno per una schiera di altrettanto azzardati frequentatori.
Un altro stabilimento fu quello di Montalbano, a destra della Rotonda, dove freschissime e ampie cabine in muratura, tutte tinte di bianco, dominavano la spiaggia da altissime dune; al centro c’era una terrazza sulla quale si affacciavano un punto di ristoro e una spaccio di generi alimentari. I servizi funzionavano molto bene e quel tratto di spiaggia era frequentatissimo, anche perché non veniva fatto pagare l’ingresso.
Il fiore all’occhiello di Platamona era però il Lido Iride: qualche centinaio di metri dalla Rotonda, e quindi in territorio di Sorso; era stato ideato e realizzato dal commendator Sebastiano Pani, imprenditore nel campo degli autotrasporti, al quale dobbiamo riconoscere il merito di una struttura che faceva onore a Platamona e alla città di Sassari.
Era un complesso attrezzato di tutto quanto potesse essere utile ad una piacevole vacanza sulla riva del mare. C’era anche una arena all’aperto, dove davano spettacolo gli artisti più noti del tempo, anche di fama internazionale.
Il Lido Iride era molto riservato e tranquillo, veniva frequentato dai sassaresi del ceto medio-alto, così come il Lido di Mura, mentre quello di Montalbano ospitava famiglie della piccola borghesia; la spiaggia libera che si apriva da una parte e dall’altra ospitava invece gente del popolo, che soprattutto in quegli anni aveva un rapporto tutto particolare con il mare. I sassaresi infatti, un po’ come tutti i sardi, sono stati per secoli lontani dalle coste e hanno fatto prevalentemente vita di campagna. Soltanto in quest’ultimo mezzo secolo l’atteggiamento è finalmente cambiato, tutti si sono adeguati alle mode della vacanza diffuse dai mass-media, soprattutto la televisione.
In quegli anni, mentre bambini e ragazzi erano attratti soprattutto dall’acqua, gli adulti preferivano godere dell’aria buona e del fresco sotto l’ombrellone, e quindi dei buoni piatti che venivano portati già pronti da casa: ciggioni in labamanu, cuccoidu a pienu, ciogga cun pumata e ziodda, mirinzana in forru e alla parmigiana, zucchitti ripieni, poipu agliaddu, il tutto con vinu bonu, per concludere, sempre secondo tradizione, con la sindria.
A quei tempi non esistevano i cassonetti della nettezza urbana, tanto meno i bidoni per i rifiuti, ma la spiaggia rimaneva pulitissima perché tutto era biodegradabile, la buccia di ciogga veniva gettata in profonde buche scavate nella sabbia e poi ricoperta, così come i resti dell’anguria. I prodotti della terra tornavano insomma alla terra e chissà, forse, fra duemila anni verranno scoperti tutti quei fossili di lumache e attribuiti a chissà quale civiltà antica.
Il bagno di mare, dicevo, veniva fatto soprattutto dai giovani; tra loro suscitavano invidia i pochi che, appoggiandosi su una grossa camera d’aria d’autocarro ben gonfia, potevano arrischiare e andare al largo, servendosene come fosse un canotto di gran pregio.
Strutture di contorno punteggiavano tutto il litorale: c’erano bar, punti di ristoro e ristoranti, oltre a gazebo che vendevano giornali e spacci di generi alimentari; più una serie di servizi da far invidia alle periferie e alle borgate della città. C’erano: un posto fisso di Polizia urbana, un locale per il Pronto Soccorso, un ufficio postale ed uno sportello bancario. Questo perché oltre ai villeggianti che si trasferivano per stare sino a quattro mesi nelle case sparse nella pineta nel retro della rotonda, c’erano anche molti che vi abitavano per tutto l’anno.
C’erano poi tutti i sassaresi che si servivano dei casotti, abbattuti in seguito per un’ordinanza comunale. Erano in legno e disposti in ordine geometrico, formando vere e proprie vie di un villaggio che si estendeva dal Lido Montalbano fin oltre il Lido Pani.
I frequentatori e gli habitués erano degli appassionati e amanti del litorale di Platamona, formavano un vero e proprio agglomerato umano con un insieme di famiglie che convivevano le une vicine alle altre dividendo ogni sorta di problema con grande senso di collaborazione. E nel fine settimana, quando i capifamiglia, spesso pendolari per seguire il loro lavoro a Sassari, si riunivano per dare il via al tradizionale ziminu, che col suo profumo inebriava anche i più lontani, la serata si concludeva con canti a momenti allegri a momenti accorati che avevano il potere di azzuddì la peddi, come si dice in sassarese.
Questi veri sassaresi, che per svariati anni abitarono questi casotti, facevano di tutto per restare il più possibile sulla spiaggia; ma erano allo stesso tempo tanto fedeli alle tradizioni che ogni anno organizzavano anche la sfilata di simbolici candelieri a Ferragosto, per non dimenticare questa secolare tradizione, col pensiero rivolto alla vera faradda che si svolge in città.
Tra i casotti sono nate anche molte storie d’amore, e si sono uniti cuori che hanno formato altre famiglie e altre generazioni; e che ora nutrono simpatici ricordi da trasmettere ai figli e ai nipoti, accompagnati con tutti gli accostamenti e paragoni del caso con le trasformazioni venute in seguito, fino ai giorni nostri.
Momento memorabile quello in cui si svolgeva lo spettacolo dei fuochi artificiali, la notte del 16 agosto. In epoche più lontane si facevano a Sassari ma poi, visto che la maggior parte dei sassaresi era a Platamona, si decise di farli al mare; e così a tutti quelli che erano rimasti in città non restava che raggiungere la marina, servendosi soprattutto degli autobus della ditta Pani, che svolgeva un efficientissimo servizio di collegamento tra Sassari e il suo mare. Un servizio che ha avuto un ruolo determinante per il successo del litorale.
In quegli anni di grande afflusso, quando l’automobile non era ancora bene di tutti, il servizio veniva svolto con diverse corse al giorno anche dalla SCIA, azienda di autotrasporti diffusa in tutta l’isola; poi, quando questa sospese i collegamenti, vi fu un proliferare di tassisti abusivi: si servivano soprattutto di Fiat Seicento Multipla e, in barba alla legge, effettuavano ripetute corse come fossero titolari di una regolare licenza. Anche la loro presenza fu utile ai bagnanti che si affollavano a tutte le ore ai punti di partenza, in particolare si dimostrava indispensabile nelle ore di punta e in occasione di scioperi e di improvvise interruzioni dei servizi di linea.
Altra meritevole iniziativa quella dell’onorevole Salvatore Cottoni, avvocato sorsense e deputato, oltre che più volte amministratore regionale e assessore al turismo, il quale, per dare maggior respiro al territorio di Platamona, fece costruire una strada in direzione di Castelsardo dalla quale vennero fatte diramare delle discese a mare che vengono impropriamente chiamate “pettini”: in realtà sono dei denti di pettine, pettine è tutto l’insieme.
L’apertura di queste strade consentì i primi insediamenti alberghieri sul litorale, che anticiparono a loro volta le altre iniziative sviluppatesi poi in tratti di costa che avrebbero acquisito maggior prestigio, in particolare la Costa Smeralda. Così Platamona, nel cuore degli anni Sessanta, divenne il più importante litorale costiero della Sardegna, sia per la sua frequentazione che per i servizi esistenti.
Un ruolo importante lo svolgeva in proposito anche il periodico satirico “La Cionfra”, lettura prediletta di molti sassaresi: gli scandaletti erano all’ordine del giorno e i collaboratori sfruttavano bene ogni occasione, proponendo anche simpaticissime vignette.
Quando, arrivati alla Rotonda, si sbarcava dagli autobus, si notava subito il clima allegro e scanzonato che vi dominava: la prima impressione veniva data dalla presenza dei juke box che ad un altissimo volume diffondevano brani musicali in voga in quel periodo, primi tra tutti quelli di Adriano Celentano.
Una grande curiosità si diffuse poi quando alcune strutture alberghiere, in particolare l’hotel Pontinental, in seguito Pineta Beach, adesso Villaggio dei pini, iniziarono ad ospitare villeggianti inglesi i quali, per la naturalezza del loro modo di vivere, mostravano in spiaggia, senza alcun pudore, parti del corpo solitamente nascoste. Quando la voce si diffuse furono numerosi i sassaresi che, col pretesto di una passeggiata, iniziarono a raggiungere la spiaggia dell’hotel, abbastanza lontana dalla Rotonda, per sbirciare quanto di insolito veniva proposto ai loro occhi, col relativo piacere che ne conseguiva alla vista, a parte quando capitava di vedere anziane signore con attributi decrepiti e cascanti: amara delusione!
Nel frattempo gli abitanti dei casotti vennero a sapere che una nuova legge prevedeva l’abbattimento delle abitazioni precarie sugli arenili; tale era il loro attaccamento a Platamona che molti di loro pensarono subito di acquistare una seconda casa nei complessi che avevano iniziato a sorgere nella pineta sorta in quegli anni a ridosso del vicino litorale di Sorso. Così, nel momento in cui l’ordinanza divenne esecutiva, molti di loro si ritrovarono in questi villaggi e poterono proseguire il ritmo della loro vita balneare, in un ambiente più sano e moderno e con la comodità di una vera casa e di tutti i relativi servizi.
Dopo l’abbattimento dei casotti, cui si sono accompagnate la scomparsa del lido Mura e l’abbandono del lido Iride da parte del commendator Pani, Platamona non è più la spiaggia frequentatissima di un tempo, molti servizi sono venuti a mancare, è iniziato un periodo di grave declino. Solo qualche esercizio pubblico riesce a sopravvivere con grandi difficoltà, purtroppo il degrado e l’abbandono stanno incalzando inesorabilmente, sembra vogliano decretare la fine di una gloriosa spiaggia che per oltre mezzo secolo ha accolto almeno due generazioni di sassaresi.
In questi ultimi anni la spiaggia è stata abbandonata a se stessa, trascurata dalle istituzioni e dagli stessi frequentatori. Il sassarese ormai arriva a malapena a visitare la Rotonda, soprattutto in primavera, per una semplice passeggiata del sabato e della domenica, alla ricerca di vecchi ricordi. Qui rimane soltanto il banco di un torronaio a proporre i suoi prodotti, affiancato da una miriade di vu cumprà che occupano i marciapiedi tutt’intorno esponendo la loro mercanzia.
Si nota molta nostalgia negli occhi delle persone di una certa età che passeggiano con lo sguardo rivolto al mare: il loro pensiero corre ai ricordi della gioventù, al tempo in cui Platamona era una spiaggia brulicante e allegra. Mentre al largo stavano ormeggiate mastodontiche navi petroliere in disarmo, quasi un cimitero di relitti che impegnava l’orizzonte. Erano in tanti i coraggiosi che in barca o con i mosconi le raggiungevano, con grande fatica e rischio, visto che distavano alcune miglia dalla spiaggia, per la curiosità di vederle da vicino.
Tra i tanti pregi di Platamona c’è anche la pescosità del suo mare, ancora oggi vi si cimentano pescatori professionisti e dilettanti che realizzano quasi sempre discreti “carnieri” di pesce prelibato, soprattutto orate di buona pezzatura.
In questi ultimi tempi sembra che qualcosa si stia finalmente muovendo, sono in programma ristrutturazioni di alberghi, del Lido Iride e del famoso villaggio La Plata, che avevo dimenticato di citare, così come il camping Cristina e l’hotel Del Golfo, tutti immersi in una bellissima distesa di pini ai quali si alternano pregiati e profumati ginepri.
Anche l’attenzione degli ambientalisti è rivolta a Platamona, penso che bisognerebbe appoggiarli per poter arrivare ad un recupero che consenta una miglior vivibilità di tutta la zona. Perché non credere anche ad uno sviluppo di questo litorale e alla possibilità di sfruttare meglio questa risorsa naturale vicino alla città, che può contare su ben undici chilometri di spiaggia? Non è un’utopia, è un progetto realizzabile, soprattutto se le istituzioni avranno fiducia in un’economia turistica capace di risollevare la condizione precaria del territorio. Un apporto notevole potrebbe darlo anche la realizzazione di un porto canale collegato con lo stagno retrostante, ormai morente.
Non voglio, comunque, terminare questo racconto con le critiche, ma anzi con un grazie a tutti i sassaresi che hanno voluto bene alla propria città e quindi a questa loro spiaggia; un luogo di vacanza che ha segnato per molti di noi il passo cadenzato del tempo, e le vicissitudini personali di ognuno, permettendoci di incamerare ricordi indelebili che dobbiamo riproporre ogni volta che è possibile ai nostri figli e ai nostri nipoti.
Una sola cosa non è mutata in quel litorale, sono i rosei e tiepidi tramonti di settembre, e nessuno potrà mai privarcene finché saremo in vita; tramonti di una serenità unica, mentre le nostre ombre si allungano a dismisura sulla spiaggia affollata soprattutto di ricordi, tanti quanti sono i granelli di sabbia che la compongono.

Ciao Platamona, resterai sempre nei nostri cuori!




Tino

Anonimo ha detto...

ahhhh platamona!!! Chi cosa bedda!!!...

Platamò no t' avaremmu mai a dimmintigà!!

claudia

Anonimo ha detto...

oja gazz.......bratamoni nei nostri gori!!!!

nuraghe58 ha detto...

Candu si magnaba la ciogga, si dizia , un mossu a curu e un bascu in bocca.

Anonimo ha detto...

ah ah ah tutt vero. una cosa sola: lumacone in sassarese è coccoiddu, non coccoi che è sardo.

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